Perché avevamo bisogno di "Hollywood"



Ryan Murphy è sicuramente uno dei registi di serie televisive più chiacchierati degli ultimi anni. Insieme a Ian Brennan e Brad Falchuck, colleghi di sempre, ci ha regalato alcuni dei prodotti televisivi più iconici degli anni duemila: "Glee", "American Horror Story", "American Crime Story", "Pose" e "The Politician", per citarne qualcuno. Non sono sicuramente le serie migliori che si possano trovare, spesso hanno buchi o sfociano nel trash, ma chiunque abbia seguito il lavoro di questo regista concorderà con me che sono intrattenimento puro.
Il 1 maggio è uscita su Netflix "Hollywood", la sua nuova serie. Ero curiosa, ma non impaziente, sinceramente non mi aspettavo chissà che. 
Da questa premessa avrete capito che ovviamente sono stata smentita.

La trama è molto semplice: siamo nel dopoguerra e un gruppo di ragazzi vuole sfondare ad Hollywood. Jack sogna di diventare attore, ma per guadagnare soldi finirà per lavorare per uno strano benzinaio. Intanto Raymond, aspirante regista, riesce a convincere lo studio ACE a produrre "Peg", film scritto da Archie, talentuosissimo sceneggiatore che però è nato con una grande colpa, imperdonabile in quegli anni: essere nero e omosessuale. Jack aspira a partecipare al film, così come Camille, fidanzata di Raymond, anche lei di colore, Claire, giovane e intraprendente attrice, e Roy, un ragazzo che non sembra troppo bravo e che decide di affidarsi a Henry, un manager meschino a sfruttatore. 
Qui scopriamo un'altra caratteristica incredibile di questa serie, perché Roy Harold Fitzegarld è esistito davvero: il mondo lo conosce come Rock Hudson, nome datogli proprio dal suo manager Henry Wilson. Infatti, "Hollywood" unisce personaggi fittizi ad alcuni vissuti veramente. Rock Hudson e il suo manager non sono gli unici: appaiono anche Vivien Leigh, Hattie McDaniel e Anna May Wong (uno dei personaggi secondari più belli in assoluto, preparatevi a fiotti di lacrime). 



Questa serie si è conquistata un posto nel mio cuore per vari motivi. Innanzitutto, racconta un mondo che mi affascina moltissimo, ovvero quello del cinema. Sono rimasta incantata nell'osservare come funziona uno studio di produzione, come un attore arriva ad affermarsi e come viene girato un film. Nonostante io mi consideri una grande appassionata, purtroppo non conosco ancora molto bene tutte le cose tecniche. Imparare un po' di gergo è stato interessante. 
La produzione di un film è una grande macchina: "Hollywood" ci fa osservare tutti i dettagli, facendocene innamorare, 
Inoltre, come ogni prodotto di Ryan Murphy, la serie è esteticamente meravigliosa. I colori, i costumi e tutti i dettagli sono studiati alla perfezione. Una delle parti più affascinanti sotto questo unto di vista è quella che si svolge dal benzinaio: sarebbe piacevole da guardare anche senza volume. 



In "Hollywood", così come tutte le serie di Ryan Murphy, è presente una particolare dualità. Infatti, ha una comicità tutta sua, ma allo stesso tempo è profonda e commovente. 
Guardando questa serie si piange, perché descrive la durezza della realtà. Anche il più ordinario degli spettatori viene colpito dalle esperienze dei protagonisti, perché almeno in parte sono qualcosa che tutti abbiamo provato. 
Ci sono Jack e Raymond, che faticano ad affermarsi in un mondo che offre così poche opportunità; c'è Camille, conscia del suo talento ma anche del fatto che non verrà mai riconosciuto, semplicemente per il colore della sua pelle; c'è Archie, impossibilitato ad esprimersi perché nero ed impossibilitato ad amare liberamente perché gay, profondamente arrabbiato, deluso, sconfortato; c'è Rock, frustrato dalla durezza con cui il mondo lo tratta; c'è Avis, moglie del proprietario della ACE Productions, consapevole del fatto che lei potrebbe lavorare meglio di lui, ma relegata ad una vita monotona, poiché donna; infine, c'è Dick, il mio personaggio preferito, profondo e perennemente insoddisfatto, in cerca di riscatto. 
Questi sono solo alcuni dei protagonisti e dei loro problemi. In realtà, ogni singolo personaggio offre uno spunto di riflessione su come la vita spesso riesca a colpire così duro. 

Come ho detto fino ad adesso, "Hollywood" è un turbine di emozioni. C'è un sentimento che però non ho nominato, forse il più impetuoso che ho provato durante la visione: rabbia. Arrivata alla fine della settima puntata, ero commossa, felice, toccata da tutto quello che avevo visto, ma nonostante ciò ero davvero furiosa. 
Il motivo è molto semplice: i personaggi ottengono il loro lieto fine. 
Non prendetemi per pazza, io amo i finali felici e sono stata contenta di vedere i miei amati personaggi ottenere quello che si meritavano. Ciò che mi ha fatto così male deriva dal fatto che "Hollywood" descrive un periodo storico realmente accaduto e, senza farvi spoiler, vi dico che le cose nella realtà non sono andate così. La serie infatti non racconta la vera storia del cinema nel dopoguerra: io lo chiamerei più un "cosa sarebbe successo se". 
Infatti, se nella realtà fosse successo quello che è capitato nella serie, vivremmo in un mondo molto più giusto. Una realtà in cui l'omosessualità non è considerata un tabù, in cui le donne non devono lavorare dieci volte più degli uomini per ottenere il posto nella società che si meritano, in cui le minoranze non sono vittime di ingiustizie. 
Adesso capite perché ero arrabbiata? Perché la nostra società non è questa. 
Nella vita vera, solo ora l'omosessualità maschile sta venendo abbastanza normalizzata nel mondo del cinema, ma quella femminile non lo è ancora. Per non parlare della transessualità, quello è un altro discorso. 
Il primo Oscar per un ruolo da protagonista ad un attrice nera è stato dato a Halle Berry solo nel 2002. 
Nella storia degli Academy Awards, solo un'attrice asiatica ha vinto un Oscar. 
Nel 2017 "Moonlight", un film con attori neri che parlava di omosessualità ha fatto la storia vincendo la statuetta più importante, quella di miglior pellicola, ma quanto ci è voluto? E soprattutto, è cambiato qualcosa? Io infatti ho citato esempi di "progresso" nel mondo del cinema, non nella società. Abbiamo sicuramente fatto dei passi avanti, ma abbiamo ancora tanta strada da percorrere.  

"Hollywood" non è perfetta. Infatti, la trama alcune volte ha dei buchi e sette puntate sono decisamente troppe poche per sviluppare una storia del genere. Noi comunque ne avevamo bisogno e questa è una cosa molto triste: nel 2020 non ci dovrebbero più essere serie che denunciano le disuguaglianze sociali semplicemente perché esse non dovrebbero esistere più, ma invece eccoci qua, in un mondo ancora così profondamente sbagliato. Questa meravigliosa storia ci ricorda che dobbiamo fare ancora tanto per rendere la nostra società più giusta per tutti.




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